Il reato di diffamazione su Facebook e la configurazione di una nuova minaccia virtuale

La diffusione dei social network ha ridisegnato i rapporti interpersonali e creato nuove dinamiche anche riguardo alla commissione di fattispecie delittuose, come la diffamazione operata tramite contenuti pubblicati su Facebook.
Il nodo centrale della questione riguarda non solo la difficoltà di individuare i responsabili (la cui vera identità è spesso dissimulata da falsi account), ma anche la possibilità di attuare una tutela concreta del soggetto offeso dal contenuto denigratorio che viaggia in rete.

 

Il reato di diffamazione ex art. 595 c.p: applicazione ai contenuti su Facebook

Il nostro Codice penale inquadra la diffamazione nell’ambito dei delitti contro la persona, individuandola nel comportamento di un soggetto che, tramite una comunicazione verbale o scritta, offende pubblicamente l’altrui reputazione.

Perché si possa parlare di contenuto diffamatorio della comunicazione, bisogna che ricorrano tre precise circostanze:

  • ciò che viene comunicato offende il decoro e l’immagine di una persona;
  • viene comunicato a una pluralità di altre persone;
  • viene comunicato in assenza della persona offesa o nell’impossibilità di quest’ultima di percepire l’offesa.

Nello specifico, quindi, la diffamazione su Facebook si configura qualora vengano pubblicate e condivise, con più di due persone, espressioni che danneggino la rispettabilità del soggetto offeso.
A ciò non osta invocare la libertà di pensiero, garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione: va precisato, infatti, che tale facoltà incontra sempre l’argine naturale costituito dal diritto di ogni soggetto all’integrità della propria reputazione, intesa come l’opinione e la stima che altri hanno di lui nell’ambito sociale o lavorativo, durante un determinato momento storico.
E questo limite configura la diffamazione come un atto illecito che non può rientrare nelle libere manifestazioni di pensiero, in nessun contesto, pertanto nemmeno su Facebook.
Di conseguenza, la lesione proveniente da un contenuto diffamatorio diffuso sul web è meritevole di tutela giuridica esattamente come quella realizzata con altri mezzi.

Ricordiamo, a questo proposito, che le ormai numerose sentenze in merito, emesse dalla Corte di Cassazione, indicano come, anche nel caso di contenuti lesivi diffusi in rete, sia possibile fare ricorso agli strumenti di giustizia ordinaria, preferibilmente avvalendosi della consulenza professionale di uno Studio penalista che ravvisi con certezza l’intento diffamatorio in un determinato contenuto.

 

Diffamazione su Facebook: sussiste l’aggravante?

Che dunque il reato sia configurabile anche in comportamenti messi in atto sui social network è stato più volte ribadito dalla Giuriprudenza, aggiungendo che, nel caso specifico, al reato di diffamazione si aggiunge l’aggravante prevista dal terzo comma dell’art. 595 c.p. della diffusione a mezzo stampa o altro mezzo di pubblicità.

L'interpretazione estensiva di quest’ultima espressione fa rientrare nella normativa sanzionatoria anche i post su Facebook, la condivisione di messaggi o le conversazioni in chat.
Il mezzo utilizzato è infatti idoneo a che il contenuto lesivo raggiunga una platea quantitativamente apprezzabile di persone (Cass. 40083/18 e altre concordi), aggravando in tal modo la capacità offensiva del messaggio.

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Interventi dei social a tutela del soggetto offeso

La diffamazione virtuale può danneggiare in maniera reale -e seria- la vita di un individuo.
Ma come può intervenire Facebook a tutela dell’utente offeso?

Le dinamiche che si verificano sui social network quasi sempre spingono la vittima della diffamazione 2.0 a difendersi chiedendo la rimozione del contenuto offensivo.
Tuttavia, l’intervento che consegue a questa richiesta non sempre aderisce all’esigenza di tutela perché fa riferimento esclusivamente agli standard di correttezza adottati da Facebook per i contenuti pubblicati sulla sua piattaforma.

Nonostante i mezzi di tutela esistano e, date le variazioni inerenti alla casistica, ne sia stato ampliato l’ambito di applicazione, la questione rimane comunque complessa e sposta l’attenzione su un’altra area di conflitto: le sentenze riparatorie hanno validità all’interno dei confini nazionali, ma la rete non si può circoscrivere.
Per questo motivo, almeno allo stato attuale, è difficilmente ipotizzabile una concreta ed efficace salvaguardia oggettiva degli utenti coinvolti nei casi di diffamazione in rete.